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Cassazione Lavoro: no alla responsabilità automatica del committente per infortunio lavoratore

Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 30 gennaio 2012, n. 3563
 

Servitù di passaggio ed usucapione

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE - Sentenza 10 marzo 2011, n. 5733
 

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09-05-2011

Servitù di passaggio ed usucapione

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE - Sentenza 10 marzo 2011, n. 5733

 

 


Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 9 maggio 1992 B.C., B.M., B.F. e B.L. evocavano in giudizio, dinanzi al Pretore di Bologna, B.F., e premesso di essere titolari a vario titolo dell'immobile censito al NCEU del Comune di Monterenzio foglio 9, nn. 181 e 188, confinante con l'immobile di proprietà del convenuto (foglio 9, n. 472), chiedevano venisse dichiarato l'intervenuto acquisto per usucapione in favore delle loro unità immobiliari della servitù di passaggio di persone e veicoli sul fondo di proprietà del convenuto, oltre alla condanna dello stesso a rimuovere, a sua cura e spese, ogni ostacolo all'esercizio della servitù e al mantenimento in idoneo stato di manutenzione del passaggio, con ordine di trascrizione dell'emananda sentenza nei registri immobiliari; chiedevano, inoltre, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni da loro subiti. Instauratosi il contraddicono, nella resistenza del convenuto, il Tribunale di Bologna (già Pretore) adito, accoglieva parzialmente le domande attoree dichiarando acquisito per usucapione il solo passaggio a piedi sul fondo del convenuto, condannando gli attori alle spese processuali.

In virtù di rituale appello interposto da B.C., B. M., B.F. e B.L., con il quale lamentavano che il giudice di prime cure non avesse ritenuto provato anche l'intervenuta usucapione del possesso della servitù di passaggio con veicoli, oltre a dolersi della loro condanna alle spese di lite, proposto dall'appellato appello incidentale, affinchè venisse negata anche la servitù di passaggio pedonale, la Corte di Appello di Bologna respingeva l'appello principale e, in accoglimento di quello incidentale di parte appellata, negava anche l'acquisto di servitù di passaggio pedonale sul fondo di proprietà del B..

A sostegno dell'adottata sentenza, la Corte territoriale affermava che oltre ad avere fornito i numerosi testi esaminati dal Pretore versioni contrastanti circa l'intervenuto passaggio in vari periodi sul terreno di proprietà del convenuto, mancavano i requisiti per potere dichiarare l'intervenuta usucapione di servitù apparente, non avendo nessuno dei testi specificato lungo quale tracciato si svolgeva il transito pedonale e veicolare, segnatamente che lo stesso fosse visibile.

Aggiungeva, inoltre, che non essendosi potuta ricostruire una servitù apparente, portava ad escludere che i passaggi effettuati fossero sintomo significativo del possesso ad usucapionem della servitù di passaggio, rigettato per inciso anche il gravame presentato dagli appellanti in ordine alle spese processuali.

Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Bologna hanno proposto ricorso per cassazione i B., che risulta articolato su due motivi, al quale ha resistito con controricorso il B.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 1061 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3, per avere palesemente errato in diritto nel non ritenere nella specie sussistere il requisito della apparenza; con il secondo motivo deducono il difetto di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere omesso inopinatamente di prendere in considerazione la documentazione topografica e la copiosa documentazione fotografica allegata agli atti.

I due motivi vanno esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, in quanto entrambi attengono alla valutazione delle risultanze probatorie fatta dal giudice distrettuale. Premesso che parte resistente ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, per genericità della doglianza, prospettando una carenza nell'indicazione delle circostanze e degli elementi che hanno avuto incidenza causale sull'errore dedotto, che non può trovare accoglimento in quanto la parte parrebbe mettere sullo stesso piano l'inammissibilità con la manifesta infondatezza, occorre osservare che le censure sono destituite di fondamento poichè esse non colgono la vera ratio decidendi della sentenza impugnata e, quindi, non possono provocarne l'annullamento.

La corte distrettuale non ha negato l'esistenza di un tracciato visibile indicativo della servitù, ma ha basato la sua motivazione soprattutto sul rilievo che il sentiero, formatosi gradualmente e, nel tempo, mutato il tracciato per le mutate esigenze del proprietario (realizzando delle aiuole ovvero un pergolato o con della ghiaia), ai fini del requisito dell'apparenza, non facesse desumere, senza incertezze o ambiguità, di essere stato predisposto al servizio del fondo dominante e ciò fosse esistente e visibile sin dall'inizio del ventennio, necessario al dedotto acquisto per usucapione.

La correttezza della impostazione giuridica accolta dalla Corte di merito è ineccepibile. Infatti, l'acquisto per usucapione della servitù apparente, la sola possibile, ai sensi dell'art. 1061 c.c. presuppone, oltre all'esercizio del corrispondente possesso, anche che le opere visibili e permanenti obiettivamente destinate a tale esercizio siano esistite ed abbiano avuto tale destinazione per tutto il tempo necessario ad usucapire, così che per la usucapione di una servitù di passaggio, non basta provare il decorso del tempo necessario per la usucapione e l'esistenza di un sentiero, ma è necessaria anche la dimostrazione che questo sin dall'inizio del ventennio necessario al possesso avesse i requisiti della visibilità, permanenza e specifica destinazione, potendo, altrimenti, il requisito dell'apparenza essere insorto più o meno di recente e non essendo, perciò, sufficiente a sorreggere il possesso ad usucapionem esercitato prima del suo venire in essere.

Nel caso di specie la Corte territoriale, con un apprezzamento di fatto congruamente motivato e privo di vizi logici, ha analizzato le risultante probatorie, in particolare le prove testimoniali e la descrizione dei luoghi fornita dagli stessi nei dettagli (pagine 7 e 8 della sentenza), ed ha concluso per la inesistenza del requisito dell'apparenza. In altri termini, il giudice di appello ha escluso il requisito dell'apparenza, necessario, ai sensi dell'art. 1061 c.c., per l'acquisto della servitù affermando che le versioni contrastanti fornite dai testi escussi circa l'intervenuto passaggio in vari tempi sul terreno di proprietà del convenuto, mancavano dei requisiti per potere dichiarare l'intervenuta usucapione di servitù apparente, non avendo nessuno dei testi specificato lungo quale tracciato si svolgeva il transito pedonale e veicolare, nonchè, segnatamente, che lo stesso fosse visibile. Le richiamate affermazioni del giudice di appello sono sufficienti di per sè a sorreggere la decisione adottata.

Giova ricordare in proposito che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte "...il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 c.c.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che non è al riguardo sufficiente l'esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essenziale viceversa essendo che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante e, pertanto, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù" (v. Cass., 11 febbraio 2009, n. 3389; Cass., 10 luglio 2007, n. 15447; Cass., 28 settembre 2006, n. 21087; Cass., 17 febbraio 2004, n. 2994). Non v'è dubbio, peraltro, che il giudizio circa la esistenza o meno di segni visibili sul fondo, di opere permanenti obiettivamente destinate all'esercizio della servitù di passaggio, introduce inevitabilmente questioni di fatto, non rilevabili nel giudizio di legittimità, stante la corretta motivazione posta a corredo della decisione.

Le argomentazioni proposte dai ricorrenti non appaiono risolutive in quanto non indicano aspetti contraddittori della motivazione adottata dalla Corte territoriale (che offre una lettura delle risultanze probatorie esente da critiche), ma propongono ancora una volta una propria lettura del complessivo materiale probatorio, diversa rispetto a quella del giudice. Neppure può imputarsi al giudice di avere omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio (nella specie il materiale fotografico) ritenuti non significativi, giacchè nè l'una nè l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa l'esigenza di adeguata motivazione la circostanza che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazione delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo (Cass., Sez. 1^, 16 luglio 2005, n. 15096; Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2003, n. 996; Cass., Sez. 2^, 30 marzo 2000, n. 3904).

Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve, dunque, essere respinto.

Al rigetto consegue, come per legge, la condanna di parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

 


INFORTUNIO SUL LAVORO - CORRESPONSABILITA' DATORE DI LAVORO E COMMITTENTE

Il caso: mentre è intento ad eseguire lavori di stuccatura per un impianto di condizionamento, un lavoratore precipita a terra da un ponteggio con ruote, riportando gravissime lesioni. Il Tribunale accerta la corresponsabilità nella causazione dell'infortunio della società datoriale e dello stesso dipendente infortunato, nella rispettiva misura dell'80% e del 20%. La Corte d'appello conferma la pronuncia.

In materia di infortuni sul lavoro e di concorrenza della responsabilità del committente con quella dell'appaltatore, la Cassazione ha ricordato il proprio orientamento secondo cui "la responsabilità per violazione dell'obbligo di adozione di misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro è applicabile anche nei confronti del committente, se pur non incondizionatamente - atteso che non sussiste alcuna norma che prevede direttamente la responsabilità del committente in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro - ma laddove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico organizzativi dell'opera da eseguire".

Secondo la Cassazione la Corte d'appello nel caso di specie ha correttamente applicato il suddetto principio "posto che, dopo aver rilevato che in base alla regola comune in tema di responsabilità per infortuni sul lavoro tale responsabilità incombeva sul datore di lavoro, ha evidenziato che nel caso di specie il committente non si era mai reso garante della vigilanza delle misure da adottare in concreto, né si era in alcun modo riservato alcuna ingerenza in relazione alla realizzazione dell'opera sì da essere coinvolto nella responsabilità per la sicurezza. E sul punto ha correttamente rilevato come nella fattispecie in esame le clausole del contratto di appalto evidenziassero che la responsabilità per la sicurezza incombeva solo sull'appaltatore - datore di lavoro, atteso che l'art. 4 del detto contratto disponeva che "nell'esecuzione dei lavori dovranno essere adottate dall'appaltatore tutte le misure previste dalle vigenti disposizioni di legge in materia di igiene e sicurezza del lavoro", rilevando altresì che la previsione contenuta nel suddetto contratto di appalto secondo cui l'appaltatore era tenuto ad uniformarsi "anche" alle disposizioni che avrebbero potuto essere impartite dal committente in materia di sicurezza, rappresentava per l'appaltatore un obbligo aggiuntivo e per i lavoratori una ulteriore protezione, nel senso che tale previsione contrattuale consentiva al committente di richiedere all'appaltatore misure più rigorose, e di operare degli interventi a tutela della sicurezza dei propri ambienti di lavoro, ma non privava certamente l'appaltatore dei poteri e della responsabilità (esclusiva, nella fattispecie) in materia di sicurezza, e non estendeva tale responsabilità a carico del committente".

In sostanza, "le previsioni contrattuali non contenevano alcuna deroga al principio generale della responsabilità (esclusiva) del datore di lavoro per infortuni sul lavoro, atteso che prevedevano a carico esclusivo dell'appaltatore la adozione delle misure dettate dalle vigenti disposizioni di legge in materia di sicurezza del lavoro; né ricorrevano i presupposti per la estensione della relativa responsabilità al committente avuto riguardo alla circostanza che la previsione contrattuale di sorveglianza da parte dello stesso sul rispetto delle norme di sicurezza e di intervento nei casi più gravi qualora l'appaltatore avesse compiuto azioni contrarie a tali misure, non consentiva di ritenere l'esistenza di una ingerenza tale, quale è ravvisabile allorché il committente si sia riservato i poteri tecnico organizzativi dell'opera da eseguire, da coinvolgerlo nella responsabilità per la sicurezza".

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 28 ottobre 2009, n.22818: Infortunio del lavoratore - Corresponsabilità datore di lavoro e committente - Condizioni).

da www.filodiritto.com

 


 
 

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