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Servitù di passaggio ed usucapione

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE - Sentenza 10 marzo 2011, n. 5733
 

Cassazione Civile: nullità del contratto d'ufficio su domanda adempimento o risoluzione

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Ordinanza interlocutoria 28 novembre 2011, n. 25151
 

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09-05-2011

DEMANSIONAMENTO E RISARCIMENTO DEL DANNO

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO - Sentenza 14 aprile 2011, n. 8527

 

 

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 24/5/05 AEM Service s.p.a. conveniva, dinanzi alla Corte di Appello di Milano, D.F.R. chiedendo la riforma della sent. n. 4109/04 del Tribunale della stessa città, che aveva accolto la domanda di quest'ultimo, volta all'accertamento della dedotta dequalificazione e l'aveva condannata a pagare al lavoratore Euro 36.500,00, con rivalutazione e interessi.

L'appellante lamentava che il primo Giudice non avesse considerato che il D.F., impiegato ASS, non aveva più svolto mansioni di contabilità già da giugno 1998 quando era a ****; che, avendo bisogno di cure, aveva chiesto di essere trasferito da ****, dove aveva indicato consapevolmente l'ufficio cui essere assegnato - quello delle fatturazioni-, in assenza di un ufficio di contabilità; che egli, assegnato alle nuove mansioni da settembre 1999, si era lamentato per la dequalificazione solo a febbraio 2001; che la teste L. aveva riferito che egli non era sottoposto ad un lavoratore con qualifica inferiore nelle nuove mansioni, ma ad un quadro (M.) che il lavoratore non aveva dedotto nè provato, in modo specifico, il danno alla professionalità; che la liquidazione era eccessiva, tenuto conto che il D.F. in realtà non voleva lavorare sul computer, strumento indispensabile.

Si costituiva il lavoratore e resisteva all'appello, rilevando che risultava dalle prove la lunga e grave dequalificazione.

Con sentenza del 30 novembre 2006-18 gennaio 2007, l'adita Corte d'appello di Milano, ritenuta provata la lamentata dequalificazione nonchè il conseguente danno nella misura accertata dal primo Giudice, rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l'AEM Service spa con tre articolati motivi.

Resiste D.F.R. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

La società ricorrente, denunciando violazione dell'art. 2103 c.c., e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), sostiene che la Corte d'appello di Milano, nello svolgimento del suo ragionamento,avrebbe fatto riferimento alle mansioni svolte dal D. F., alla declaratoria contrattuale della sua categoria di inquadramento (ASS), ma non a quella contrattuale della categoria inferiore (AS) alla quale la precedente declaratoria fa riferimento;

circostanza, questa, che concreterebbe sia la violazione dell'art. 2103 c.c., che l'insufficiente motivazione circa un fatto decisivo del giudizio.

Il motivo, pur valutato nella sua duplice articolazione, è infondato in quanto, diversamente da quanto esposto dalla società ricorrente, la Corte di merito ha correttamente ed esaustivamente motivato la propria decisione attraverso un incensurabile iter logico-giuridico.

Il Giudice di secondo grado, infatti, ha in primo luogo enucleato il differente contenuto professionale delle mansioni riconducibili alla categoria ASS rispetto a quelle della categoria AS (così testualmente riportato nella sentenza della Corte d'Appello di Milano: "La declaratoria di questa categoria prevede, infatti, rispetto alla inferiore categoria AS un contenuto professionale di maggior rilievo per il più elevato grado di presenza di facoltà di rappresentanza attribuita dall'azienda, funzioni di sovrintendenza e di coordinamento di altri lavoratori, contenuto specialistico particolarmente elevato delle mansioni"; successivamente, alla luce delle risultante probatorie emerse nel primo grado di giudizio, ha comparato, attraverso la loro descrizione analitica, le mansioni in concreto svolte dal D.F. fino all'agosto del 1999 (ovvero quelle di responsabile della contabilità analitica e responsabile della contabilità fornitori) con quelle svolte successivamente a tale data (ovvero quelle di controllo delle fatture con riferimento alle clausole contrattuali) ed è quindi giunto ad accertare la sussistenza della dequalificazione a cui è stato sottoposto il lavoratore.

Il procedimento logico-giuridico seguito dalla Corte d'Appello di Milano è pertanto corretto e conforme agli insegnamenti della Corte di legittimità, secondo cui, ai fini della verifica del legittimo esercizio dello "ius variandi" da parte del datore di lavoro, deve essere valutata dal giudice di merito - con giudizio di fatto incensurabile in cassazione ove adeguatamente motivato - la omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente nella pregressa fase del rapporto e nella precedente attività svolta (Cass. n. 13173/09).

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., comma 2, e motivazione omessa o insufficiente circa un fatto decisivo e controverso (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), fonda la propria censura sull'assunto che l'art. 2103 c.c., sia norma derogabile con il consenso delle parti al fine di soddisfare un rilevante interesse del lavoratore e che, nel caso di specie, tale consenso alla deroga ci sia stato.

Tale circostanza concreterebbe, secondo la ricorrente, sia la denunciata violazione di legge che il dedotto vizio di motivazione.

Anche questo motivo è privo di fondamento.

Come è noto, infatti, l'art. 2103 c.c., che tutela la professionalità del prestatore di lavoro nonchè il diritto a prestare l'attività lavorativa per la quale si è stati assunti o si è successivamente svolta, vietandone l'adibizione a mansioni inferiori, è norma imperativa e quindi non derogabile nemmeno tra le parti, come sancisce l'ultimo comma di tale norma: "Ogni patto contrario è nullo".

Sul punto, pertanto, correttamente la Corte di merito ha osservato come fosse irrilevante che il D.F. avesse fatto valere la dequalificazione qualche mese dopo la sua assegnazione a nuove mansioni e che egli stesso avesse richiesto di essere assegnato a Milano all'ufficio commerciale Multiservizio-Fatturazione-Gestione.

Con il terzo motivo, infine, la ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2697 c.c. e dell'art. 432 c.p.c. e violazione dei principi generali in tema di illecito e di danno; in particolare degli artt. 1218, 1223, 1226, 2043, 2056, 2059 e 2087 c.c. vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta che la sentenza della Corte d'Appello, una volta accertato l'illegittimo demansionamento, non abbia provveduto a motivare in che cosa sussistesse il danno effettivamente patito dal D.F. ed abbia liquidato il risarcimento in carenza di deduzioni da parte dello stesso.

In particolare, si sostiene che la Corte milanese abbia erroneamente considerato che il risarcimento del danno non patrimoniale, così come richiesto dal D.F., rilevi di per sè.

L'assunto è infondato, in quanto le considerazioni svolte dalla Corte territoriale non conducono a tale conclusione, avendo la stessa, alla luce dell'istruttoria esperita, osservato come il lavoratore fosse stato assegnato all'uso dell'elaboratore elettronico senza la previa, necessaria istruzione e quindi con disagio dovuto all'evidente ed incolpevole imperizia e con conseguente pregiudizio per la dignità personale e per il prestigio professionale, tutelati dall'art. 35 Cost., comma 1. A tale proposito si evidenzia come questa Corte, abbia in più occasioni affermato che "in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 c.c., il giudice di merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (cfr., Cass. n. 8893/2010; Cass., n. 14729/2006).

Per quanto precede, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 58,00, oltre Euro 2.500,00 per onorari ed oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A.


Il danno non patrimoniale a tre mesi dalle Sezioni Unite - Morale vs biologico, cosa è cambiato?

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Il danno non patrimoniale a tre mesi dalle Sezioni Unite

Morale vs biologico, cosa è cambiato?

di Giuseppe Buffone

Quattro Sezioni Unite sul danno non patrimoniale (sentenze dell'11.11.2008 nn.26972 - 26975) hanno "riscritto" alcune delle pagine più importanti in tema di danno non patrimoniale.

Tra "novità" e "tradizione" resta da verificare cosa sia effettivamente (e davvero) cambiato.

 

 

Le sentenze esaminate

  • Cass. civ., Sez. Un., sentenza 11 novembre 2008 n. 26972;
  • Cass. civ., Sez. Un., sentenza 11 novembre 2008, n. 26973;
  • Cass. civ., Sez. Un., sentenza 11 novembre 2008, n. 26974;
  • Cass. civ., Sez. Un., sentenza 11 novembre 2008, n. 26975;
  • Cass. civ., sez. III, sentenza 28 novembre 2008, n. 28407;
  • Cass. civ., sez. III, sentenza 12 dicembre 2008 n. 29191;  
  • Cass. civ., sez. lav., sentenza 19 dicembre 2008 n. 29832;
  • Cass. civ., sez. III, sentenza 13 gennaio 2009 n. 479; 
  • Cass. civ., Sez. Un., sentenza 14 gennaio 2009 557;  
  • Cass. civ., Sez. Un., sentenza 15 gennaio 2009 n. 794.  

 

Le sentenze "gemelle" dell'11 novembre 2008: quattro Sezioni Unite per "re-interpretare" l'art. 2059 cod. civ..

L'11 novembre 2008, come noto, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno consegnato agli interpreti quattro arresti nomofilattici1 in cui i giudici ermellini rimodellano alcuni dei più importanti tasselli della responsabilità civile, voltando pagina in materia di danno non patrimoniale. L'esercizio della nomofilachia, nelle decisioni gemelle dello scorso anno, non ha, tuttavia, sopito il dibattito attorno ai pregiudizi cd. esistenziali

che continuano ad animare il dibattito dottrinale2. Al contempo, le intenzioni ed i desiderata del Collegio non hanno, forse, raggiunto pienamente l'obiettivo preso di mira, ovvero l'esigenza di regole certe in una materia governata da una presenza di orientamenti giurisprudenziali oscillanti. Alcuni obiter dicta, inoltre, hanno dato adito a letture interpretative diametralmente opposte cosicché attorno alle sentenze gemelle si è formata la condensa di un Vaso di Pandora. Da qui l'opportunità di "rileggere" il decisum degli ermellini attraverso gli arresti succeduti alla nomofilachia dell'11 novembre 2008.

Persiste l'autonomia ontologia del danno morale rispetto al danno biologico o si deve propendere per la cd. somatizzazione del danno morale?

Le Sezioni Unite del 2008 hanno trattato, espressamente, dei rapporti tra danno morale soggettivo e danno biologico, giungendo a conclusioni che, nei diversi commenti offerti dai primi lettori, hanno destato non poche perplessità. Una lettura attenta degli enunciati motivazionali conduce, invero, a ritenere che la SS.UU. abbiano cambiato il linguaggio della responsabilità civile ma non la sostanza3. Ed, allora, è opportuno leggere la Cassazione attraverso la Cassazione. Le risposte saranno evidenti. Il punto di partenza sono i punti 4.8. e 2.10. Riguardo agli enunciati in esame, si è parlato di cd. somatizzazione del danno morale laddove. E, cioè, ad esempio, in caso di diffamazione sarà risarcito il pregiudizio morale, ma se la sofferenza degenera in depressione, sarà risarcito il solo pregiudizio alla salute, che assorbe l'altro. "Egualmente è a dirsi per il danno da uccisione del familiare e conseguente perdita del rapporto parentale, là dove l'eventuale depressione è l'esito finale del dolore da lutto iniziale, così confermandosi che il c.d. danno biologico psichico è in tal caso solo una somatizzazione del c.d. danno morale"4.

La dottrina esistenzialista è di contrario avviso e ripudia ogni tesi che prospetti il cd. assorbimento (morale nel biologico; esistenziale nel morale). Secondo l'autorevole Opinione richiamata, siffatte tesi rimarranno circoscritte a una minoranza degli interpreti, nell'arco di un non più di qualche mese"; si segnala, in tal senso, che "le prime sentenze post 11 novembre parlano già chiaro, il "rigetto" in vari punti è incominciato, le "tabelle" rimangono quelle di sempre"5.

Quale migliore spunto per accertare la "resistenza" delle SS.UU. all'indomani delle prime sentenze successive pronunciate in argomento.

I PRINCIPI PRE-VIGENTI

DANNO MORALE SOGGETTIVO

DANNO BIOLOGICO

Patema d'animo o sofferen­za psichica di carattere interiore.

Cd. Pretium doloris

Lesione dell'integrità psicofisica ac­certabile in sede medico-legale

Cass. civ. 8827, 8828 /2003

Corte cost. 233/2003

Dimensione soggettiva ed interiore

Deve essere accertato e quindi dimostrato sul piano medico-legale (es. patologia)

Soggiace al vincolo di cui all'art. 185 c.p. Deve sussistere una fattispecie di reato ma anche solamente in astratto e pure sulla base di presunzioni legali

Rientra nei "casi previsti dalla legge", segnatamente quelli impliciti ricavabili dalla Charta Chartarum. Precisamente, l'art. 32 cost. Non opera il limite di cui all'art. 185 c.p.

 

DANNO ESISTENZIALE

Ogni pregiudizio ( di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente ac­certabile ) provocato sul fare areddittuale del sogget­to, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazio­nali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quan­to all' espressione e realizzazione della sua personali­tà nel mondo esterno

Cass. SS.UU. 24.3.2006 n. 6572

Prescinde dalla accertabilità in sede medico-legale: è una modificazione peggiorativa della personalità dell'individuo

Non opera il limite di cui all'art. 185 c.p. Trattasi, infatti, di interessi di rango costituzionale che ricadono nella previsione dei "casi previsti dalla legge".

PRINCIPI DELLE SEZIONI UNITE 11.11.2008

SS.UU. 11 novembre 2008

Va accantonata la figura del danno morale

Definitivamente accantonata la figura del cd. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

..... Il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita (sent. n. 1704/1997 e successive conformi), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (sent. n. 6404/1998 e successive conformi). Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione.

Riassumendo i principi enunciati dalle Sezioni Unite dell'11 novembre 2008:

DANNO MORALE "PURO"

DANNO MORALE CON DEGENERAZIONI PATOLOGICHE

= DANNO MORALE

= DANNO BIOLOGICO cd. DINAMICO

E' la "sofferenza soggettiva in sé considerata", non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad es., dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza

 

Ricorre ove il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti siano accompagnati da degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente.

 

Integra nocumento non patrimoniale risarcibile. Non è, però, una autonoma sottocategoria di danno ma una formula descrittiva di un tipo di pregiudizio

 

Determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale

 


I principi espressi dalle Sezioni (nel punto 4.8.) vanno letti non trascurando il principio espresso in premessa (punto n. 2.10.):

"nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata". La giurisprudenza successiva alle SS.UU. qui esaminate, ha obliterato siffatti principi?

DOPO le SEZIONI UNITE

Cassazione civile , sez. III, 28 novembre 2008, n. 284076

Il danno morale gode di propria autonomia ontologica rispetto al danno biologico

L'autonomia ontologia del danno morale rispetto al danno biologico, in relazione alla diversità del bene protetto, appartiene ad una consolidata, giurisprudenza di questa Corte, che esclude il ricorso semplificativo a quote del danno biologico, esigendo la considerazione delle condizioni soggettive della vittima e della gravità del fatto e pervenendo ad una valutazione equitativa autonoma e personalizzata. (Cfr. Cass. 27 giugno 2007 n. 14846; Cass. 23 maggio 2003 n. 8169; Cass. 12 dicembre 2003 n. 19057; tra S.U. 11 novembre 2008, punto 2.10).

A novembre del 2008, le Sezioni Unite avevano sostenuto che il danno morale, quale autonoma categoria di danno ex art. 2059 c.c., andasse accantonato. Avevano sostenuto, infatti, che ove la vittima del fatto illecito deduca conseguenze patologiche della sofferenza, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Ma la sentenza del 28 novembre 2008 sembra remare in altra direzione. Il Collegio, infatti, si pronuncia, espressamente, proprio a favore della netta distinzione tra biologico e morale, da un punto di vista - si badi - "ontologico"7, "in relazione alla diversità del bene protetto". E, peraltro, la sentenza chiama expressis verbis il punto n. 2.10 della sentenza delle SS.UU. dell'11.11.2008 n. 26972. Ma il punto richiamato, in realtà, appare non coincidente con il principio di diritto enunciato nella decisione 28.11.2008. Le SS.UU. affermano: "nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento. In ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato é risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (...) ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il criterio dell'ingiustizia ex art. 2043 c.c.), poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell'interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato. Scelta che comunque implica la considerazione della rilevanza dell'interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela penale". E, tuttavia, lo stesso principio - di cui al punto 2.10 - appare in parte distonico dai successivi principi espressi nel punto 4.8. riportato nella casella di testo introduttiva.

DOPO le SEZIONI UNITE

Cassazione civile, sez. III, 12 dicembre 2008, n. 291918

Il danno morale è dotato di propria autonomia rispetto alla lesione del diritto alla salute

La voce "danno morale" è dotata di logica autonomia rispetto alla lesione del diritto alla salute in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona

Il 12 dicembre 2008, il Collegio (sempre della Terza sezione) rincara la dose. Secondo il Collegio: "nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona (la sua integrità morale: art. 2 della Costituzione in relazione allo art. 1 della Carta di Nizza, che il Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con L. 2 agosto 2008, n. 130, collocando la Dignità umana come la massima espressione della sua integrità morale e biologica) deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute. (Cass. 19 agosto 2003 n. 12124; Cass. 27 giugno 2007 n. 14846 tra le più significative vedi ora SU 11 novembre 2008 n. 9672 - punto 2.10)". La Corte reputa che sia un "error in iudicando" valutare il danno morale quale in termini di pro quota del danno biologico. Si aggiunge che, nella fattispecie trattata, venendo in rilievo lesioni gravissime con esiti dolorosi anche dal punto di vista psichico, "la autonomia ontologia del danno morale deve essere considerata in relazione alla diversità del bene protetto, che attiene alla sfera della dignità morale delle persona, escludendo meccanismi semplificativi di tipo automatico".

Anche stavolta, il Collegio richiama il punto 2.10 delle Sezioni unite dell'11 novembre 2008.

DOPO le SEZIONI UNITE

Cassazione civile, sez. Lavoro, 19 dicembre 2008, n. 29832

Danno morale e biologico non sono categorie di danno ma il giudice ne deve tenere comunque conto ai fini della liquidazione del risarcimento, in quanto "descrivono" la lesione subita

Il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati, risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno, delle quali comunque il giudice deve tener conto al fine di poter addivenire, con un procedimento logico e corretto, alla determinazione quantitativa del danno in concreto riconoscibile, in modo da assicurare un risarcimento integrale.

La sentenza Cassazione civile, sez. lav., sentenza 19 dicembre 2008, n. 29832 fa proprie le conclusioni delle SS.UU. di novembre '08 e, però, indubbiamente smussando, in vario modo, i principi di diritto enunciati dal Supremo Collegio. E' vero: biologico e morale non sono categorie di danno. Ma è anche vero: sono, comunque, nozioni descrittive. Ed, allora: il giudice - esattamente come in passato - li "usa" ai fini del risarcimento del danno. Insomma: cambiano le parole, non muta la sostanza. E' interessante osservare come la decisione "commenta" le SS.UU. 11/2008 n. 26972: "con questa visione complessiva [n.b. quella delle SS.UU.], viene ad essere evidentemente confermato quel principio ormai acquisito nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. 19 ottobre 2007 n. 22020) per il quale "il danno morale consegue alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito e, per essere risarcito, non è soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 c.p., e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della stessa, ove si consideri che il riconoscimento, ivi contenuto, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale".

In conclusione, il Collegio esclude che la risarcibilità del danno morale debba essere subordinato alla ricorrenza di un fatto reato.

DOPO le SEZIONI UNITE

Cassazione civile, sez. III, 13 gennaio 2009, n. 479

Liquidazione del danno morale contestuale alle lesioni gravi

Merita accoglimento il motivo di ricorso, in cui si deduce la violazione di legge (art. 2059) per la mancata liquidazione del danno morale contestuale alle lesioni gravi

La sentenza Cassazione civile, del 13 gennaio 2009, rema in direzione alquanto contraria a quella suggerita dalle SS.UU. 2008 o, se si vuol dire, ne interpreta ortopedicamente il decisum. Nelle sentenze gemelle dell'11.11.2008, il Collegio aveva chiaramente affermato che se la sofferenza è accompagnata da degenerazioni patologiche il danno morale non va liquidato assieme al biologico. Altrimenti detto: se c'è danno alla salute, va risarcito il danno biologico dinamico (che comprende ed assorbe il morale). Ma la decisione in commento è di tutt'altro avviso. E' una violazione di legge (art. 2059 c.c.) negare il risarcimento del danno morale (nel caso di specie: perché la responsabilità riconosciuta per presunzioni, art. 2054 c.c.) in caso di lesioni gravi riportate dalla vittima. Il punto di rottura è il seguente. I giudici di merito avevano già liquidato il biologico (ma non il morale). Se il Collegio avesse confermato la lettera delle SS.UU. 2008, dinanzi alle censure concernenti la mancata liquidazione del morale in caso di presunzioni, questi avrebbe, comunque, affermato che andava liquidato il solo biologico seppur con adeguamento ai risvolti "dinamici". Ma così non è. L'orientamento sposato, secondo il Consesso, è "consolidato da sentenze successive conformi, da ultimo appare confermato nel punto 2.10 della motivazione della sentenza delle S.U. civili n. 26972 del 11 novembre 2008". Ritorna citato, cioè, il punto 2.10. Pertanto il giudice del rinvio è vincolato al rispetto del seguente principio di diritto: "la parte che ha subito lesioni gravi alla salute nel corso di un incidente stradale, ha diritto al risarcimento integrale del danno ingiusto non patrimoniale (nella specie dedotto come danno morale), che deve essere equitativamente valutato tenendo conto delle condizioni soggettive della vittima, della entità delle lesioni e delle altre circostanze che attengono alla valutazione della condotta dell'autore del danno, ancorché vi sia l'accertamento del pari concorso di colpa ai sensi del secondo comma dell'art. 2054 del codice civile".

DOPO le SEZIONI UNITE

Cassazione civile, SEZIONI UNITE, 14 gennaio 2009, n. 5579

Il danno morale "assorbe" il danno parentale

I "danno morale" - liquidato anche in assenza di danno biologico - assorbe il cd. danno esistenziale da uccisione del congiunto.

Le Sezioni unite civili, sentenza 14 gennaio 2009, n. 557, confermano il pieno diritto di cittadinanza del danno morale nella cornice dell'art. 2059 c.c.. Nel caso trattato dal Collegio, era stato escluso il danno biologico e liquidato il solo danno morale. Gli ermellini, a sezioni unite, hanno ritenuto che sia corretta la sentenza che abbia elevato il risarcimento per "il danno morale per la perdita della congiunta" riassorbendo il "danno da perdita del rapporto parentale" nel danno morale, "secondo un principio aderente a quanto stabilito dalle [già più volte citate] sezioni unite con le sentenze nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008, con le quali è stato negato che il cd. "danno esistenziale" costituisca un'autonoma categoria di danno e tutti i danni non patrimoniali sono stati ricondotti nell'ambito della previsione dell'art. 2059 cod. civ., ivi compreso il "danno da perdita del rapporto parentale". Ed, infatti, nel punto 4.8. le suaccennate SS.UU. avevano affermato: "determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato".

DOPO le SEZIONI UNITE

Cassazione civile, SEZIONI UNITE, 15 gennaio 2009, n. 79410

Il danno non patrimoniale non è suscettibile di suddivisione in sottocategorie

Il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. è quello determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, composto in categoria unitaria non suscettibile di suddivisione in sottocategorie.

Le Sezioni unite civili, sentenza 15 gennaio 2009, n. 794, in parte motiva, affermano quanto segue. "Quanto alla paura di ammalarsi, in dottrina è stato fatto riferimento al danno da pericolo già elaborato da queste Sezioni Unite, quando, a proposito del disastro di Seveso, è stato ritenuto risarcibile il danno morale soggettivo lamentato da coloro che avevano subito un turbamento psichico (non tradottosi in malattia) a causa dell'esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita (Cass. sez. un. 21 febbraio 2002, n. 2515). Tuttavia non si può omettere di considerare che siffatta soluzione è stata accolta in un caso in cui il danno lamentato era posto in collegamento causale con un fatto costituente il reato di disastro colposo e, dunque, in riferimento all'art. 185 c.p. Sicché, rispetto a tale ultima categoria di danni (che la sentenza impugnata menziona genericamente come di tipo "esistenziale") occorre tener conto delle conclusioni alle quali è recentemente pervenuta Cass. sez. un. 11 novembre 2008, n. 26975, che ha identificato il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. come quello determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, composto in categoria unitaria non suscettibile di suddivisione in sottocategorie. Danno tutelato in via risarcitoria, in assenza di reato ed al di fuori dei casi determinati dalla legge, solo quando si verifichi la lesione di specifici diritti inviolabili della persona, ossia la presenza di un'ingiustizia costituzionalmente qualificata. Tenendo, dunque, conto dell'interesse leso e non del mero pregiudizio sofferto o della lesione di qualsiasi bene giuridicamente rilevante".

L'ordito motivazionale su trascritto depone nel senso di una integrale conferma delle SS.UU. di novembre 2008. E, però, anche in questa ipotesi si trattava di un caso in cui il ricorrente non lamentava danni biologici ma solo pregiudizi "esistenziali" senza substrato medico-legale.

La Cassazione interpreta le Sezioni Unite: conclusioni

Il punto n. 4.8 della sentenza a Sezioni Unite (11.11.2008) non va letto isolatamente. Si tratta di un principio di diritto da leggere in combinato disposto con il punto n. 2.10. Non deve stupire, in tal senso, che la quasi integralità delle sentenze successive alle SS.UU. abbia (di fatto) ignorato il punto 4.8. (che afferma l'assorbimento del morale nel biologico) e ripetutamente citato il 2.10 (che traccia l'evoluzione del morale in seno al 2059 c.c.). Come note che partecipano ad un pentagramma, questo è l'unico modo per ascoltare la esatta melodia confezionata dal Supremo Collegio. E le conclusioni smentiscono le prime impressioni: il Supremo Consesso di giustizia non ha "cancellato" l'autonomia del danno alla integrità morale. Tutt'altro:

  • ne ha ribadito l'ontologica autonomia;
  • ne ha confermato la risarcibilità pur in presenza di presunzioni;
  • ne ha "sganciato" la risarcibilità dall'accertamento incidentale della presenza di un reato;
  • ne ha tracciato la natura al vaglio delle Carte internazionali.

Certo: è tempo di discorrere di "voci" di danno e non di categorie di danno. E' tempo di riporre i concetti nella dogmatica per mettere mano alle definizioni. Ma la tecnica risarcitoria resta, almeno sul punto, immutata. Lo tsunami delle SS.UU. 2008, di fatto, ha travolto il solo danno esistenziale non anche la consolidata giurisprudenza ermellina in tema di rapporti tra morale e biologico. Certo è che gli arresti nomofilattici di cui si discute non hanno convinto né gli esistenzialisti ne i negazionisti poiché da entrambe le Scuole si sono levate istanze intese a sollecitare un nuovo intervento immediato delle Sezioni Unite. Per non parlare degli interpreti primi destinatari dei provvedimenti qui in commento: i giudici di merito. Resta, infatti, il dubbio della "motivazione" che, allo stato, dovrebbe riuscire a raggiungere un punto di equilibrio tra novità e tradizione.

La Motivazione

Il danno ex art. 2059 cod. civ. - nella lettura data dalle SS.UU. dell'11 novembre 2008 (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974, 26975) - rappresenta una categoria unitaria di nocumento ove racchiusi tutti i pregiudizi cd. esistenziali, i quali si caratterizzano per l'assenza di risvolti reddituali, incidendo sulla persona in quanto tale. Il giudice, ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., è chiamato ad accertare, ai fini del risarcimento, quali siano gli interessi che la vittima del fatto illecito assume violati per verificarne la rilevanza costituzionale ovvero la riconducibilità ad una espressa previsione di Legge che ne legittima espressamente il ristoro non patrimoniale (oltre che patrimoniale ex art. 2043 cod. civ.). Il giudice deve, poi, anche valutare la gravità dell'offesa che si vuole sanzionare in via risarcitoria. La suddetta gravità dell'offesa costituisce requisito ulteriore per l'ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile.

Nell'ottica della nuova ermeneutica inaugurata dal Supremo Collegio, l'ingiustizia cd. costituzionalmente qualificata disegna i confini del danno non patrimoniale che risulta connotato da tipicità. Non vi è, dunque, alcuno spazio per autonome categorie di danno, con valenza concettuale, potendo, semmai, il giudice ricorrere a nozioni descrittive al fine di quantificare, con correttezza, l'ammontare del risarcimento spettante. In tal senso, la lesione che arrechi offesa seria al diritto alla salute, causando oltre alla sofferenza morale anche degenerazioni patologiche e risvolti a-reddittuali con incidenza negativa su altri beni giuridici tutelati, può trovare integrale ristorno scongiurando, però, il rischio di duplicazioni risarcitorie. Al mero fine descrittivo, la vittima dell'illecito avrà, in primis, diritto al ristoro del danno biologico ovvero la lesione del diritto alla integrità psico-fisica, tutelata dalla Carta Costituzionale all'art. 32. Sussiste, anche, meritevolezza di ristoro per la lesione della integrità morale della vittima, bene giuridico presidiato dall'art. 2 della Costituzione in relazione all'art. 1 della Carta di Nizza, nonchè al Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con L. 2 agosto 2008, n. 130, che tutela la Dignità umana come la massima espressione della sua integrità morale e biologica (Cass. civ., sez. III, sentenza 12 dicembre 2008, n. 29191). E' il danno che la tradizione interpretativa consolidata della Suprema Corte descrive come "danno morale". Secondo le S.U. siffatta voce di danno (laddove voce, si ripete, è termine usato ai fini descrittivi) è comprensiva, però, del cd. danno da perdita del congiunto (Cass. civ., Sez. Un., sentenza 14 gennaio 2009, n. 557; Cass. civ., Sez. Un., sentenza 15 gennaio 2009, n. 794) e per la sua liquidazione richiama la considerazione delle condizioni soggettive della vittima e della gravità del fatto (Cass. civ., sez. III, 28 novembre 2008, n. 28407). Una voce di danno che non resta esclusa dal danno alla salute (Cass. civ., sez. III, sentenza 13 gennaio 2009, n. 479; Cass. civ., sez. lav., sentenza 19 dicembre 2008, n. 29832).

L'onere della prova grava sul danneggiato.

I Criteri per la risarcibilità

Condizioni

 

 

  • 1. L'INTERESSE CHE SI ASSUME LESO E' UN DIRITTO INVIOLABILE DELLA PERSONA (OPPURE E' RICONDUCIBILE AD UNA ESPRESSA PREVISIONE DI LEGGE CHE CONSENTE IL RISTORO EX ART. 2059 C.C.)

(es. resta valido, anche, il riferimento alle Carte Internazionali)

 

Ingiustizia cd. costituzionalmente qualificata

 

  • 1. L'OFFESA ARRECATA AL DIRITTO E' SERIA, OLTRE LA SOGLIA DELLA TOLLERABILITA'

(Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio)

 

Gravità dell'Offesa

 

  • 1. E' FORNITA PROVA DEL DANNO

(approccio cd. consequenzialistico: l'onere incombe sul danneggiato)

 

Onere della prova

 

  • 1. NON SONO CONSENTITE DUPLICAZIONI

Non "esiste" un danno esistenziale e le varie definizioni (biologico, morale) hanno mera valenza descrittiva. Il danno è unitario: danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ.

 

No alle duplicazioni risarcitorie

si precisa che:

LIQUIDAZIONE EX ART. 1226 C.C.

(solo se il danno è provato nell'an, anche tramite presunzioni)

Liquidazione equitativa

_______________

1 Cass. civ., Sez. Un., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 (le altre decisioni recano i numeri: 26973, 26974, 26975).

 2 Il maggior rappresentante dei pensatori della scuola esistenzialista, il Prof. Paolo Cendon, accusa le decisioni delle Sezioni Unite di «scompostezze varie, crociate da streghe di Salem, contraddizioni, semplificazioni, confusioni continue fra piano del danno e piano del contra ius, ossessività da litanie», sicché solo pochi aspetti sarebbero apprezzabili (Non con l'accetta per favore e Ha da passà a nuttata, in www.personaedanno.it/cns/data/articoli/012254.aspx, nonché, allo stesso indirizzo, il n. 012278). Di contrario avviso il Prof. Francesco Gazzoni, Il danno esistenziale, cacciato, come meritava, dalla porta, rientrerà dalla finestra in http://www.iudicium.it/: "Nel complesso [...] la sentenza pone utili paletti, smantella taluni pregiudizi, semplifica il panorama giurisprudenziale e dottrinario, per cui, sotto questo aspetto, l'ho personalmente apprezzata, anche perché, giunto alla p.34 ho provato una sorta di orgasmo narcisistico leggendo quanto segue: «Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici».

3 Come sembra ritenere Gazzoni, opera cit. "Secondo le Sezioni Unite il danno non patrimoniale è quello determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona, non connotati da rilevanza economica ed è unitario, anche se, per esigenze descrittive, si fa riferimento a molteplici tipi di pregiudizio, quali di volta in volta la legge prevede, come nel caso del c.d. danno morale e di quello c.d. biologico, che non sono sottocategorie autonome di danno, ma pregiudizi diversi dell'unico danno (non patrimoniale). E' evidente peraltro che si tratta solo di una precisazione, perché fino ad oggi si parlava se non di pregiudizi diversi, di voci diverse di danno, che è, in sostanza, la stessa cosa".

4 Gazzoni, opera cit..

5 Cendon, L'urlo e la furia: commento a Cass. sez. u. 26972/2008 in corso di pubblicazione.

6 Guida al diritto 2008, 50 104, nota Martini.

7 Come noto l'ontologia è quella parte della filosofia che studia "i concetti". Ed, allora, ontologica sta per concettuale. Ma nella ricostruzione del novembre 2008, il danno morale aveva valore definitorio e non concettuale.

8 Diritto & Giustizia, 2008.

9 Presidente Carbone - Relatore Felicetti.

10 Presidente Carbone - Relatore Spirito.

 


 
 

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